server

server (lett. serviente) è l’elaboratore principale (cfr. → host) che fornisce agli altri calcolatori in Rete (detti → client, cioè calcolatori clienti o terminali intelligenti) servizi come la posta elettronica (es. un server di posta elettronica, che smista i messaggi) o gli accessi ftp (es. server ftp), cioè il trasferimento dati con il protocollo FTP, e altri dati e programmi condivisi.

4 commenti su: server

  • Su Cruscate usiamo «serviente», che crea una ben trovata coppia omeoteleuta coll’adattamento «cliente». Peccato che non ci sia alcun equivalente italiano «ufficiale», mentre spagnoli e portoghesi usano senza paura «servidor».

    • Apprezzo lo sforzo di “serviente” che utilizzate, e l’ho inserito come traduzione letterale che però non è in uso, dunque non credo sia comprensibile. Una buona tecnica per farla circolare (la stessa che uso per molte alternative italiane secondarie) può essere quella, all’interno di un discorso, di usare ininizialmente l’anglicismo “server” specificando che potremmo dire anche “serviente”, e dopo questa premessa sarà possibile porcedere usando l’italiano definito inizialmente, permettendo la comprensibilità. E’ una tecnica basata sul rovesciamento dei testi tradotti dall’inglese, che puntano a usare l’inglese, spiegato solo all’inizio (es. la token economy, cioè l’economia dei gettoni) er poi abbandonare l’italiano.

  • Non è quesa la maniera di tradurre da una lingua all’altra, per cortesia. Riviste, scuole, TV e piazze sono già sufficientemente piene di obbrobriosi calchi assonanti. Sono cose che fanno male al cuore ed offendono la lingua e l’intelligenza. Il concetto francese di “faux amis” è già stato messo all’angolo da troppo. Chiamatelo « smistatore », « casella (nel caso che si tratti di posta », « centro dati », « distributore di dati »… o anche « Luigi »; ma non « serviente »!

    • Ho già premesso che l’alternativa “serviente” non è in uso, detto questo ogni traduzione è una scelta e una proposta, che può essere recepita e attecchire o decadere, ma non c’è un modo di tradurre preferibile ad altri. Mi pare che l’unica offesa all’intelligenza sia quella di classificare i vocaboli da un punto di vista estetico e soggettivo (come facevano i puristi): non ci sono parole in sé belle o “obbrobriose” e come aveva ben chiarito Leopardi (ma non solo lui) tutto dipende dall’uso e dall’assuefazione che rende le parole belle e brutte, a seconda dei contesti, solo perché siamo abituati a sentirle. “Se io dicessi PRECISAZIONE – esemplificava nello Zibaldone – moverei le risa” perché a quei tempi (si è affermata solo nel Novecento) era insolita e considerata un calco sulla base del francese come molte parole in -zione, -ista o -ismo, al punto che sul finire dell”Ottocento Rigutini– nel suo dizionario sui neologismi buoni e cattivi – bollava una parola che oggi consideriamo forse “bella” come “emozione” “uno di quei gallicismi, dai quali si guardera sempre chiunque, distinguendo l’uso dall’abuso, vorra parlare e scrivere italianamente.”

LASCIA UN COMMENTO